Il piano segreto dell’UE sui tuoi soldi: rischio o opportunità?

L’Unione Europea ha recentemente lanciato un’iniziativa ambiziosa: risvegliare oltre 10.000 miliardi di euro che, secondo Bruxelles, “giacciono inutilizzati” nei conti correnti dei cittadini europei. L’obiettivo? Mobilitare questa massa di denaro per rafforzare l’economia e finanziare settori strategici.

Ma dietro questa narrazione ottimista si nasconde una realtà più complessa — fatta di rischi sistemici, implicazioni etiche e una visione distorta del ruolo che il risparmio gioca nel tessuto economico e sociale.


Non soldi fermi, ma risorse vitali per l’economia reale

Presentare quei 10 trilioni come “dormienti” è fuorviante. Queste somme rappresentano la base con cui le banche svolgono la loro funzione primaria: erogare credito a famiglie, imprese e territori.

Sottrarre questa liquidità al sistema bancario per immetterla nei circuiti finanziari significherebbe indebolire la capacità di prestito, proprio in un momento storico in cui le PMI faticano ad accedere al credito e affrontano un calo della domanda.

Inoltre, con tassi d’interesse attivi molto superiori a quelli passivi, questa liquidità rappresenta anche una fonte di stabilità e redditività per le banche. Rimuoverla equivarrebbe a comprimere i margini operativi e frenare l’erogazione di nuovi finanziamenti.


Il modello svedese: davvero un esempio da seguire?

Uno dei pilastri della proposta UE è ispirato all’approccio adottato in Svezia: un sistema di tassazione forfettaria applicata sui patrimoni investiti, a prescindere dai risultati ottenuti.

In periodi di crescita dei mercati può sembrare vantaggioso. Ma quando i mercati vanno in rosso, questa imposta continua a essere dovuta, anche in caso di perdita — rendendolo un meccanismo ingiusto e penalizzante.

Inoltre, applicarlo in un’Europa dove la tassazione delle rendite finanziarie varia enormemente da paese a paese rischia di favorire alcune giurisdizioni a scapito di altre, minando i principi di equità e coerenza fiscale.


I rischi reali della “mobilitazione” del risparmio

L’intento di canalizzare il risparmio verso investimenti finanziari può sembrare virtuoso. Ma di quali strumenti stiamo parlando?

Non si tratta di titoli di Stato o libretti postali sicuri, bensì di fondi, ETF, obbligazioni aziendali e azioni. Strumenti più complessi, spesso volatili e non sempre trasparenti.

Il cittadino medio si troverebbe così esposto a rischi che potrebbe non comprendere né controllare. E se chi lo consiglia – promotori e consulenti – è incentivato a vendere i prodotti più redditizi per sé, il conflitto d’interessi è dietro l’angolo.

In questo contesto, la tanto invocata “educazione finanziaria” rischia di essere solo una foglia di fico: non può compensare da sola un divario cognitivo strutturale tra investitori e sistema.


Dove andrà a finire davvero questo denaro?

C’è poi una questione ancora più delicata: la destinazione strategica degli investimenti che verrebbero finanziati attraverso il risparmio mobilitato.

La Commissione Europea ha dichiarato che questi capitali serviranno a sostenere settori chiave per la “sovranità europea”. Ma tra questi figurano anche le cosiddette tecnologie “a duplice uso”: strumenti e innovazioni che possono servire tanto in ambito civile quanto militare.

Parliamo di intelligenza artificiale, cybersicurezza, robotica, tecnologie satellitari. Campi che, pur trainando l’innovazione, sono anche il cuore delle nuove guerre tecnologiche.

In sostanza, il denaro dei risparmiatori potrebbe finire — senza che questi ne siano consapevoli — in progetti legati alla difesa o alla ricerca militare.


Una domanda legittima

È giusto che cittadini comuni vedano i propri risparmi usati per sostenere indirettamente il riarmo o l’espansione tecnologico-militare dell’Europa?

La questione non è solo tecnica o economica, ma etica. Senza trasparenza, senza consenso, il risparmio perde la sua neutralità e diventa uno strumento di politica industriale e geopolitica, spesso lontano dai valori e dalle scelte di chi quei soldi li ha accantonati con fatica.


Il risparmio è un diritto, non una leva politica

Il risparmio non è un deposito da prosciugare per compensare le lacune strategiche dell’Unione. È una forma di libertà individuale, una garanzia contro l’imprevedibilità del futuro, una fiducia concessa allo Stato e al sistema bancario.

Privarne le persone senza piena consapevolezza e senza protezioni adeguate significa rompere un patto sociale e tradire un principio fondamentale: quello della tutela del cittadino.

Se davvero l’Unione Europea vuole essere al servizio delle persone, deve rispettare il loro risparmio come un bene comune, non trattarlo come una risorsa da mobilitare a ogni costo.

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