Le nuove tensioni in Medioriente, la volatilità sui mercati azionari e l’andamento dell’economia incerto complicano lo scenario per i risparmiatori alla ricerca di lidi sicuri dove investire.
In questo contesto il mondo obbligazionario sembra in grado di offrire una soluzione a questi problemi. In primo piano ci sono anche tre specificità tipiche del mondo obbligazionario che offrono potenzialità all’asset class e sono rappresentate dai rendimenti dei titoli in circolazione, dagli andamenti degli spread presenti sui mercati e dal reinvestimento dei titoli a scadenza. «Il momento attuale è ottimale per sfruttare queste tre caratteristiche» afferma Alessandro Aspesi, Head of Italy per PGIM Investments. I dati che arrivano dal quadro macroeconomico con l’inflazione che sta allentando la presa rinforzano il contesto favorevole al comparto. «L’andamento in corso porterà le banche centrali a riconsiderare le proprie politiche monetarie» dice l’esperto, guardando in prospettiva ad un possibile taglio dei tassi di interesse, in grado di influenzare positivamente il prezzo dei bond. Si tratta di capire solo quando inizierà questa fase con precisione. Da questo scenario emergono opportunità per il fixed income.
Le preferenze per gli investitori
Come orientarsi in questo contesto? Per costruire un portafoglio diversificato per emittente e duration le occasioni non mancano. «Adesso nella nostra view vediamo più opportunità nei titoli di Stato statunitensi rispetto quelli europei e a quelli dei mercati emergenti – spiega l’esperto -. Nella parte corporate l’interesse va ai bond Usa con scadenza fino a 10 anni e in generale ai titoli societari Ue con scadenze medio-brevi, fino a 5 anni. Per quanto riguarda i Paesi emergenti, tra i titoli di Stato in valuta forte (dollaro o euro, ndr) puntiamo su quelli con merito creditizio più alto rispetto agli high yield mentre nell’universo dei corporate bond la preferenza va sia a quelli investment grade sia a quelli high yield».
Lo scenario di fondo
A sostenere le scelte di PGIM contribuiscono le aspettative per una revisione delle politiche monetarie delle principali banche centrali orientate nel medio periodo ad un ribasso dei tassi d’interesse.
Negli Stati Uniti l’inflazione ha ricominciato a perdere terreno e dallo scorso giugno la Federal Reserve non ha più toccato il livello dei tassi, fermo in un range tra il 5,25% e il 5,5%, ai massimi da 22 anni. «In questo contesto, riteniamo che nel terzo trimestre la Fed abbia raggiunto la fine del suo ciclo di inasprimento – analizza Aspesi -. Nelle nostre previsioni, l’inflazione Usa scenderà al 2,5-3%, appena di poco al di sopra dell’obiettivo del 2%. A tenere ancora alti i prezzi saranno i servizi. In ogni caso, il movimento al ribasso dell’inflazione consentirà alla Fed un allentamento dei tassi di interesse di 50 punti base il prossimo anno».
In Europa il panorama è diverso. Qui domina il mantra “più alti più a lungo”. Va detto che nel Vecchio Continente l’inflazione appare più ostinata che a Washington poiché il forte aumento dei prezzi dell’energia in seguito all’invasione dell’Ucraina continua ad avere riflessi negativi su beni e servizi non energetici. «La prospettiva di una continua volatilità energetica persisterà probabilmente negli anni a venire» dice Aspesi che poi aggiunge: «La Bce ha scelto di adottare una politica di tassi elevati più a lungo, con l’obiettivo di evitare che un’inflazione al di sopra del target del 2% per lungo tempo diventi difficile da contenere»